L’Infuso delle 17, di mercoledì 29 gennaio 2025

 

 

RITORNO AL FUTURO
OVVERO I SALTELLI DELLA COSCIENZA

 

L’altra sera ho rivisto il film “Ritorno al futuro” di R.Zemeckis, assieme a mia figlia quattordicenne, Nora.

Non so quante volte avrò visto, dalla sua uscita in Italia nel lontanissimo 1985, questo che considero un capolavoro non solo del cinema (uno dei sette film perfetti per Quentin Tarantino) ma della narrativa mondiale. Ma questa volta è stato diverso, io e mia figlia abbiamo disquisito per ore su un particolare fondamentale che sconquassa la teoria e la fisica del viaggio nel tempo elaborata nel film, per un dettaglio che non mi risulti sia mai stato considerato né risolto o giustificato dagli autori, neanche nei due sequel (Ritorno al futuro parte II e Ritorno al futuro parte III), anzi semmai rafforzato dai due capitoli successivi della storia. “Ma di cosa stai parlando?” mi direte. Calma e andiamo in ordine. Credo che quasi tutti voi che state leggendo abbiate visto il film ma per chiarezza espositiva mi fa obbligo riepilogarvi brevemente la trama. Ma invito chi non lo avesse ancora fatto a vederlo prima di leggere questo scritto.

Novembre 1985. Marty McFly, studente del liceo della cittadina (immaginaria) di Hill Valley, California, U.S.A., ultimogenito di una famiglia a dir poco problematica (padre codardo maltrattato e umiliato dal suo datore di lavoro, madre giudicante, puritana e alcolizzata, sorella perennemente zitella, fratello sbandato e zio galeotto), e amico dello scienziato Emmet Brown, detto Doc, viene coinvolto da quest’ultimo nella sperimentazione del viaggio nel tempo su un’automobile (la mitica DeLorean DMC-12) che, completamente trasformata ed appositamente equipaggiata, raggiungendo la velocità di ottantotto miglia orarie (precisamente 141,6 km orari), grazie all’attivazione del “flusso canalizzatore” caricato a plutonio (che Doc ruba ad un gruppo di terroristi libici), è in grado di viaggiare nel tempo. L’esperimento riesce perfettamente catapultando un minuto nel futuro il tenero cane Einstein. Ma le cose a quel punto vanno per il peggio: i terroristi libici si ripresentano armati di tutto punto, sparano a Doc, che si accascia esanime a terra, e Marty scappa con la DeLorean che, raggiunte le 88 miglia, si smaterializza nel nulla balzando in realtà in un altro tempo, la data che Doc aveva precedentemente impostato nel display dell’automobile temporale come la più importante per l’evoluzione dell’umanità:

5 novembre 1955, ossia quando lui stesso concepì i principi del suddetto flusso canalizzatore che avrebbe reso possibile il viaggio nel tempo. Così Marty si trova catapultato trent’anni indietro nel passato, dove si imbatte inconsapevolmente nei suoi genitori, due coetanei liceali, impedendo inavvertitamente il loro incontro che avrebbe condotto a quell’unione da cui sarebbero poi nati lo stesso Marty, suo fratello e sua sorella. Il rischio è quello di sparire come se non fosse mai esistito, facendo collassare l’esistenza di tutta la sua dimensione temporale. Così, il nostro eroe si trova a dover compiere una doppia missione sotto la guida del suo amico scienziato, quello però più giovane del 1955: innanzitutto, far in modo che tra i suoi futuri genitori scatti quella scintilla che porterà alla loro unione, compito per niente facile data la presenza continuamente disturbante di Biff, il bullo spaccone della scuola (futuro tirannico approfittatore datore di lavoro di suo padre), del livello spropositato di imbranataggine di George (forse suo futuro papà, semmai ce la farà a diventarlo), e l’infatuazione della potenziale madre Lorraine per lo stesso Marty. In più il ruolo del tempo, costantemente presente nella scansione ritmica della suspance narrativa. Assolto il primo compito, dov riuscire a intercettare la scarica del fulmine che colpirà la torre dell’orologio in un momento preciso (sabato 12 novembre alle 22,04)  che, equivalentemente alla carica di plutonio, gli permetterà di tornare “indietro nel futuro”, ossia nel suo 1985. E qui il concetto di “suo 1985” è fondamentale e tra poco vi dirò perché.

Alla fine Marty, in seguito a rocamboleschi accadimenti, riesce nell’impresa di far innamorare i genitori e ad arrivare in tempo per beccare il fulmine. Ma prima del salto nel futuro, purtroppo non riesce a comunicare a Doc che sarà ucciso dai libici quella notte del primo viaggio nel tempo nel 1985 e di prendere quindi le dovute precauzioni. Ci prova con una lettera che però Doc strappa perché, contenendo informazioni sul futuro, potrebbe causare un paradosso spazio-temporale dalle conseguenze inimmaginabili, infilando comunque in tasca i pezzi di carta strappata. Alla fine, riesce a beccare il fulmine (non senza difficoltà ulteriori e colpi di scena) e a ritornare quindi nel 1985. Ma, attenzione, non il “suo” 1985.

Questo è momento clou che complica una trama temporale già fin troppo, sapientemente, elaborata: prima di saltare nel futuro, Marty aveva impostato il timer di ritorno dieci minuti prima del suo primo salto nel tempo che dal suo 1985 lo aveva portato nel 1955, per riuscire ad avvisare Doc prima dell’arrivo dei libici. Ma una volta giunto nel 1985 la DeLorean si inceppa e, costretto a raggiungere di corsa il luogo dell’esperimento, arriva troppo tardi facendo però in tempo a rivedere i libici che sparano a Doc e se stesso fuggire nella DeLorean per poi sparire saltando nel tempo ossia, come ormai lui stesso sapeva, nel 1955. Solo in quei pochi fotogrammi vediamo nello stesso momento il Marty che abbiamo seguito fin dall’inizio del film, e che chiameremo “primo Marty”, e il Marty, che chiameremo “secondo Marty, che il “primo Marty” si appresta vedere saltare nel passato. E qui c’è la chiave del mio discorso, scaturito nel confronto con mia figlia. Il “primo Marty” corre verso il corpo di Doc accasciato (ribadiamo che intanto il “secondo Marty” è saltato nel passato, quindi non più presente fisicamente ), che però si rialza mostrando un giubbotto antiproiettile sotto la tuta e la lettera, ricostruita, che il “primo Marty” gli aveva consegnato nel 1955 e che Doc aveva strappato. In pratica, con la sua incursione nel passato il “primo Marty era riuscito a modificare il corso degli eventi futuri e quindi a salvare il suo amico Doc nel presente 1985. Ma non solo. Torna a casa sua ma non trova ciò che aveva lasciato prima di quell’incredibile avventura: la famiglia è ricca, il padre uno scrittore di successo sicuro di sé, la madre bellissima e non più alcolizzata, i fratelli realizzati nella carriera e nella vita sentimentale, il bullo Biff un umile manutentore al servizio della famiglia, e in più possiede già l’auto che ha sempre sognato.

Cosa è successo quindi? È successo che dal passato del 1955 il “primo Marty” ha modificato, in meglio diremmo, il proprio presente “futuro”. Ed è questo che tutti vediamo palesemente. Ma attenzione a ciò che state per leggere a seguire, e qui veniamo alle riflessioni tra me e mia figlia.

Il primo Marty si ritrova in un 1985 non suo, ma modificato, che non riconosce più, perché lui ha solo la memoria del vecchio 1985 in cui la sua famiglia era un vero disastro su tutti i fronti; quindi, in quella nuova realtà, quel nuovo 1985 non gli appartiene, il “primo Marty” non ha vissuto nemmeno uno degli accadimenti che hanno riguardato quella famiglia felice dalla sua nascita fino a quel momento. E chi li ha vissuti? Ovvio: il “secondo Marty”, quello che intanto abbiamo visto ripartire nel passato dopo che il “primo Marty” è tornato dal passato. Lo so, le cose si stanno complicando, ma se sorseggiate con lentezza ciò che vi sto descrivendo, tutto sarà chiaro. Forse…

Quindi noi non abbiamo visto ripartire nel passato lo stesso Marty ma il Marty che è cresciuto nella famiglia felice e agiata. Ovvero, abbiamo ora due Marty diversi compresenti: il “primo Marty” cresciuto in una famiglia disastrata e il “secondo Marty” cresciuto in una agiata. Ciò lascia emergere una serie di ipotesi “quantistiche” da perderci la testa.

Innanzitutto, il “primo Marty” rappresenta per la famiglia agiata del nuovo 1985 un impostore, non è il figlio che il George figo e la Lorraine bella hanno cresciuto, perché loro hanno cresciuto il “secondo Marty”. Quindi il “primo Marty” si impossessa di una vita che non è la sua, perché la sua coscienza (stando a ciò che viene narrato nel film) non si è modificata assieme alla modificazione della realtà che lui ha determinato, ma è rimasta la stessa del vecchio 1985, tant’è che non riconosce né la casa, né questa nuova versione dei genitori e dei fratelli. La sua coscienza non si è modificata col modificarsi della realtà, lo ripeto perché questo è un concetto chiave alla base di questa disquisizione. Quindi il “primo Marty” è l’impostore non solo per la sua famiglia ma per tutta quella nuova realtà (la fidanzata Jennifer, la scuola, eccetera eccetera), che invece appartiene legittimamente al “secondo Marty”. Ora, come sappiamo e possiamo immaginare, l’ambiente familiare in cui si vive e le esperienze infantili e adolescenziali forniscono l’imprinting della nostra forma mentis e della nostra personalità, soprattutto crescere con genitori problematici e falliti è assolutamente diverso dal crescere con genitori amorevoli e realizzati. Quindi possiamo a ragion veduta, senza ulteriore analisi socio-psicologica, ipotizzare che i due Marty siano due versioni assolutamente diverse della stessa persona, o meglio, della stessa essenza incarnata. Perché, volendo complicarci le cose inserendo anche la teoria della reincarnazione e del Karma, indubbiamente i due Marty sono sempre la stessa anima reincarnata nello stesso corpo ma in due dimensioni “coscienziali” completamente diverse che coesistono in parallelo dal momento in cui il “primo Marty” ha compiuto la sua missione nel 1955.

Ma che succede al “secondo Marty”?

Teoricamente gli autori del film ci lasciano intendere che partendo anche lui per il 1955 svolgerà la stessa missione ottenendo lo stesso risultato nel futuro. Ma in realtà questo non può essere plausibile. Il “secondo Marty” è cresciuto in una famiglia agiata e amorevole con due figure genitoriali salde, formando una personalità completamente diversa dal “primo Marty” che se l’è dovuta cavare un po’ da “sugnizzo” per essere come vediamo nel film nonostante quella famiglia di appartenenza: è indomito, coraggioso, sveglio, affronta le sue paure, sa andare in skateboard aggrappandosi alle auto, suona la chitarra, e il suo migliore amico è uno scienziato folle, unica cosa in comune (a parte la fidanzata Jennifer) che ci è dato di sapere con il “secondo Marty”. “Ma il secondo Marty” sa andare in skateboard aggrappandosi alle auto? Sa suonare la chitarra? Cose non irrilevanti, anzi risolutive dato che aiutano il “primo Marty” a cavarsela. Sarà in grado il “secondo Marty” di portare a termine la missione di far innamorare i suoi genitori e di incrociare in tempo il fulmine che lo riporterà “indietro nel futuro”?

Vediamo.

Una prova tangibile del diverso trattamento nella crescita dei due Marty ci viene proprio suggerita da una breve ma significativa scena del film: quando Marty saluta sua madre e suo padre nel 1955, ormai palesemente innamorati, chiede loro di non arrabbiarsi col loro futuro figlio quando, intorno agli otto anni, suo malgrado darà fuoco al tappeto di casa! Quindi presumibilmente grazie a questa raccomandazione il secondo piccolo Marty sarà perdonato per quel pericoloso incidente che invece sarà costata una tremenda punizione al primo piccolo Marty, tremendissima e traumatica se è l’unica cosa che gli viene in quel momento da raccomandare ai suoi futuri genitori.

Tornando alla missione da compiere, sicuramente il “secondo Marty” parte penalizzato: non ha mai conosciuto il carattere codardo e senza spina dorsale del padre, quindi lo shock di ritrovarselo coetaneo e prima della sua trasformazione (determinata dal “primo Marty”) potrebbe essere sconvolgente e troppo per le capacità del “secondo Marty”. Questo vale anche per la madre, una ragazza che beve e fuma e che si invaghisce del primo che incontra (lui stesso, suo figlio). Per non parlare delle caratteristiche caratteriali necessarie per tener testa a Biff il bullo: il “primo Marty” lo affronta e gli tiene testa, gli sfugge più volte, lo ridicolizza in pubblico. Il “secondo Marty” conosce solo il Biff adulto che fa manutenzione a casa dei suoi, non è preparato a quel confronto tanto meno a uscirne con vantaggio.

Quindi le ipotesi sono:

1) il “secondo Marty” non è in grado di far innamorare i genitori causando il collasso della propria dimensione e l’annichilimento della sua stessa esistenza e dei sui fratelli che non nasceranno mai. Storia finita. A Doc del 1955 resta in comodato d’uso la macchina del tempo già da lui costruita “nel futuro” e che il “secondo Marty” gli porta dal 1985, per cui si può ragionevolmente ipotizzare che anticiperà il viaggio nel tempo molto prima di quella data, una volta risolto il problema di come riprodurre 1,2 gigowatt di potenza senza fulmini e senza plutonio. Per cui non c’è più ragione di pensare che venga ucciso dai libici nel 1985 avendo trovato molto prima una soluzione alternativa;

2) il “secondo Marty” riesce a far innamorare in qualche modo – certo totalmente diverso da quello trovato dal “primo Marty” – i suoi genitori, generando ovviamente un futuro alternativo in base a quel che accade alla realtà e all’interiorità dei personaggi. Per esempio: se George non arrivasse ad affrontare Biff stendendolo con un pugno (cosa che avviene grazie al “primo Marty”)? probabilmente non si troverebbe nella condizione di conquistare quella fiducia in se stesso che lo porterà ad avere successo come uomo e come scrittore (così come lo vediamo quando il “primo Marty” ritorna nel nuovo 1985). In tal caso Il “secondo Marty” “tornando nel futuro” troverebbe (come per il “primo Marty”) un 1985 non suo, dove magari il padre è rimasto codardo e maltrattato. In ogni caso, qualunque sia la risoluzione praticata dal “secondo Marty”, le probabilità di ritrovarsi in un 1985 diverso da quello che ha lasciato sono pressoché certe;

3) ammettendo che in qualche modo riesca a far innamorare i propri genitori, c’è un’altra questione: riuscirà a fare “in tempo” a beccare quel famoso fulmine all’ora prefissata che, correndo a 88 miglia orarie con la sua DeLorean, lo farà “tornare nel futuro”? Anche questo non è detto che accada essendo il “secondo Marty” ipoteticamente meno sgamato del “primo Marty”. In caso di fallimento, non gli resterebbe che vivere nel 1955 finché Doc non fosse riuscito a trovare un’alternativa al filmine o al plutonio per alimentare il flusso canalizzatore con 1,2 gigowatt di potenza. Ma a quel punto potrebbero passare anni prima di poter “tornare nel futuro” e sicuramente non nel 1985, essendo intanto cresciuto, ma nell’anno corrispondente alla sua età maturata, dove lo avranno dato per scomparso da anni, trovando così un contesto familiare in ogni caso non più felice, con tutte le conseguenze emotive e materiali di una condizione di sofferenza per un figlio di cui all’improvviso non si hanno più tracce.

Ci sono tante altre ipotesi che potrei ancora avanzare ma, data già la complessa prolissità di questo scritto, veniamo al dunque.

Il punto è che, attraverso le riflessioni “quantiche” scaturite dal quel singolo dettaglio narrativo di questo eccezionale film, possiamo giungere ad una riflessione potente:

Il viaggio nel tempo è reale, esiste ed è possibile. Ma non è fisico. Coesistono nello stesso tempo infinite dimensioni (parallele, intersecanti, tangenti, sovrapposte, eccetera eccetera) abbracciate tutte dalla nostra anima, che è unica ed espansa oltre queste dimensioni, tra le quali la nostra coscienza superiore non fa che spostarsi. Il viaggio nel tempo non è che un viaggio tra le infinite possibilità dimensionali, in cui le variabili sono anch’esse infinite, e la semplice variazione di una sola di queste variabili porta ad un balzo quantico in un’altra delle altre possibili coesistenti dimensioni. Succede quando sogniamo, succede nei viaggi astrali, più o meno guidati spiritualmente, più o meno condizionati dalle acque corrosive di sostanze psicotrope, stupefacenti o elementi naturali allucinogeni, succede nei casi di espansione consapevole della coscienza, succede quando moriamo. Ma moriamo solo in questa attuale dimensione mentre la nostra coscienza superiore si sposta in una dimensione coesistente in cui continuiamo a vivere, ma non ne abbiamo coscienza, fino all’ultima morte che ci è data in questa incarnazione (eh sì, la percezione è quella che moriamo più e più volte prima di ogni nuova incarnazione), l’ultima morte che è la prova finale che ci è data di esperire nell’attuale incarnazione, superata la quale la nostra anima si sposta con un balzo quantico superiore ad abbracciare altre diverse infinite dimensioni coesistenti nella prossima incarnazione e così via, e così via, e così via

Come non terminare con una citazione tratta dal film, precisamente la scena finale del terzo capitolo della saga, in cui Doc, ormai esperto viaggiatore multidimensionale ed essere completo nell’integrazione tra il suo maschile e il suo femminile, condivide con tutti noi, una preziosa semplice verità, che anche un’indicazione importante per viaggiatori astrali:


Jennifer: “Dottor Brown, avevo portato questo bigliettino dal futuro… e ora si è cancellato.”

Doc: “Certo che si è cancellato.”

Jennifer: “Ma cosa significa?”

Doc: Significa che il vostro futuro non è ancora stato scritto… quello di nessuno. Il vostro futuro è come ve lo creerete. Perciò createvelo buono… tutti e due”.

Perciò creiamocelo buono… tutti “quanti”.

Valentino Infuso

 

P.S. per approfondimento sul salto quantico, invito alla lettura dell’omonimo scritto di Valentina Cidda “Il Salto quantico”


 

ricordiamo la nuova pubblicazione

HARLOCK
un Angelo col becco
scritto da Valentino Infuso
edito da Edizioni Sovversive Porto X
E’ possibile richiedere il volumetto direttamente al Porto o via mail: info@porto-x.com
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