Qualche giorno fa, dopo tanto, appena prima che l’osannato film di Yorgo Lanthimos, Povere Creature, venisse tolto dalle sale, sono riuscita a vederlo! Sempre all’ultimo momento!
Ed oggi sono qui a scrivere questo articolo che prende le mosse proprio dalla visione di questo film.
Perché? Non so esattamente, ma è un desiderio che ho avuto fin da subito, già mentre scorrevano i titoli di coda sentivo il bisogno di partire da questo film per una serie di riflessioni attuali, concrete e profonde che tale visione ha suscitato in me.
Tale spinta alla riflessione è piuttosto naturale credo, considerando il fatto che Povere Creature, Poor Things in originale, (che suona anche come “povere cose”, espressione che avrebbe a mio avviso molto senso), non è certo un film di pura fantasia ma, di fatto e in maniera esplicita, è un film allegorico, (con elementi che ricordano la coppia robot Maria-Rotwang in “Metropolis”): un film allegorico dove il fantastico è usato per presentare chiaramente una prospettiva della realtà.
Ed è proprio intorno alla prospettiva della realtà allegoricamente presentata in questo film che ruotano le mie riflessioni…
Naturalmente, questo scritto contiene spoiler importanti sul film e quindi, chi non l’avesse visto, è avvertito 😉!
Premetto che la mia riflessione critica nulla ha a che vedere con l’aspetto prettamente cinematografico: il film Povere Creature è esteticamente perfetto, un vero capolavoro, sceneggiatura, regia, fotografia, colonna sonora sublime, un cast impeccabile e attori di una bravura incredibile, da Emma Stone a Willem Dafoe fino a uno straordinario Mark Ruffalo.
Ciò che mi preme esplorare è semplicemente l’allegoria, poiché di questo si tratta, e mi spingo a esplorare e scoprire i messaggi, le chiavi di rappresentazione della realtà, l’azione sottile e la comunicazione celata dietro le immagini e nella storia raccontata con straordinaria abilità dal regista.
E il motivo di questa spinta alla scoperta e alla riflessione è evidentemente legato alla percezione che questo film non sia un’ allegoria da poco, di quelle che passano in sordina, ma un’epica allegoria! Un’epica rappresentazione di una terrificante realtà attualmente auspicata dal nostro sistema di potere, perciò il film può essere letto o come uno strumento di tale sistema – che fa leva sull’inconscio delle persone per prepararle abilmente a rispondere come “da copione” a quanto sta per accadere e già accade nel prossimo presente-futuro, oppure, (e io mi auguro, in linea con ciò che Lagor Anthimos di fatto ha dato ad intendere fino ad oggi, che la verità sia più vicina a questa seconda ipotesi), una denuncia lucida e agghiacciante la cui chiave è nel titolo: Povere, povere creature!!! O meglio Povere cose. – perciò attenzione!
Tuttavia, seppure la verità fosse più vicina a questa seconda ipotesi, rimane comunque la questione di cosa, effettivamente, la visione di questo film susciti nel pubblico, e di come, in maniera naturale, il pubblico tenda ad empatizzare con Bella, protagonista di questa storia e presentata come una sorta di nuova eroina. E di cosa effettivamente produca in tanti giovani spettatori questo film poiché la sua visione è inspiegabilmente vietata ai soli minori di 14 anni, quando a mio avviso, dovrebbe essere interdetto a qualunque ragazzo sotto i 18.
Comincio con un’affermazione d’effetto, schietta e diretta: Bella, la protagonista di Povere Creature, magistralmente interpretata da Emma Stone, non è un eroina, è, a mio avviso, un mostro!
Certo, Emma Stone la fa apparire indifesa, offesa, incompleta, ferita, empatica, buona, intelligente, forte, sola.
Ma Bella è un mostro in realtà, ed è fondamentalmente un mostro perché non ha altra ragione d’essere che sé stessa.
In sintesi, ripercorriamo la trama!
Victoria, giovane donna probabilmente crudele, (come si intuirà alla fine), si toglie la vita lanciandosi da un ponte nel Tamigi. Il suo corpo, morto da così poco tempo da risultare ancora caldo, viene recuperato dal professor Godwin Baxter, scienziato folle guidato solo da una sacra devozione alla conoscenza empirica e scientifica che giustifica qualunque azione. Egli si pone di fatto come l’unico Dio (God) a cui può far appello e la scienza è la sua unica religione.
La giovane Vicktoria è incinta quando si suicida, e anche ad uno stadio avanzato della gravidanza a giudicare dal pancione.
Il professor Goldwin Baxter si accorge che, sebbene la madre sia morta, il feto è ancora vivo e quindi (non si preoccupa di salvare il bambino, cosa che non avrebbe dovuto esser per lui difficile considerate le sue straordinarie abilità di scienziato dio “creatore”) ma effettua invece un trapianto impossibile: il cervello del feto viene posto nel cranio di Victoria che è riportata in vita.
La donna ha così una nuova identità, quella di Bella, Bella Baxter, che si ritrova un cervello di neonato, e quindi, a quanto pare, una coscienza di neonato, che deve “crescere” e completare il proprio sviluppo all’interno di un corpo già adulto.
Lo farà, in tempi rapidi, attirando l’interesse e la passione di tutti gli uomini che incontra: dal suo creatore che, essendo stato castrato da suo padre, non potrà che avere per lei un amore platonico e paterno; fino al dottore McMcandles, che fin dal principio si occupa di lei con rispetto, il suo primo amante Duncan Wedderburn, passando per una serie infinita di maschi ridotti ad automi prigionieri dei propri istinti, fino alla sua nemesi ovvero il marito di Victoria, il cupo e malvagio generale Blessington.
Sottolineo, prima di proseguire, il fatto che il film è stato lodato per mostrare il percorso di emancipazione di una giovane donna nonostante una società patriarcale (brutta e cattiva) che vorrebbe privarla di autonomia.
In questo senso non so se posso unirmi alle lodi, non so e sono, quantomeno confusa.
Al di sotto di questa presunta trama apparentemente edificante, in cui sembra che l’allegoria da sottolineare si quella della determinazione, del coraggio, della spregiudicatezza, della voglia di vivere di un femminile pronto a conquistare il mondo e sé stesso, vedo celarsi una ben diversa allegoria composta da svariati elementi, un significato oscuro, nefasto che divora il valore dell’esistenza dei personaggi, ovvero: la riduzione dell’essere umano al suo corpo, la riduzione della coscienza ad un cervello (sede dell’essere vivente), l’incapacità di uscire da una propria dimensione soggettiva fine a sé stessa che, come un buco nero, alla fine traduce la libertà in un agire privo di scrupoli e di senso dell’onore.
Partiamo dal principio: Bella è il risultato di un terribile atto, l’uccisione del feto che Viktoria, proprietaria originale del corpo di Bella, portava in grembo e il trapianto del suo piccolo cervello di neonato nel cranio adulto della sua ex madre.
Pertanto, Bella è madre e figlia di sé stessa.
Troviamo già, in questo atto, un codice di significato preciso: la massima autoreferenzialità possibile, un capolavoro di autoreferenzialità biologica chiusa in sé stessa senza alcuna via di scampo.
E questo capolavoro di autoreferenzialità biologica ci viene mostrata come un archetipo di innocenza, semplicità, libertà di azione e di espressione a qualunque costo, mentre in realtà, Bella è in questo senso l’archetipo di un essere che inizia e finisce in se stesso,
e che pertanto non deve mai rispondere, mai e in nessun modo, delle proprie azioni: tutto quello che fa è giustificato da sensazioni e sentimenti continuamente mutevoli (apparentemente puri e innocenti) che non possono mai essere criticati.
Certo, nell’aspetto simbolico di essere madri e figlie di se stesse c’è una possibile indicazione sacra di un atto di liberazione necessario, ma, in questa storia, esso mi appare risucchiato e svuotato da ogni possibile sacralità.
Questa chiusura autoreferenziale è il vero filo rosso che si manifesta in ogni inquadratura del film. Quasi tutti i personaggi sono chiusi in sé stessi e la loro presunta libertà non è altro che l’eliminazione di qualsiasi legame o contatto con gli altri e con il mondo.
Per Bella essere liberi vuol dire poter trovare all’interno del proprio corpo la regola dell’esistenza.
E così, il corpo, viene presentato come un tempio e una prigione insieme, all’interno dei quali si vivono paradisi e inferni, che però non escono mai dai suoi confini.
Il piacere è interno al corpo e l’ossessione con l’anatomia è declinata dalla ricerca all’interno della pelle del senso dell’esistenza. Non v’è anima, non v’è spirito, ne alcuna tensione a qualcosa che vada “oltre” la superficie della materia empiricamente tangibile.
D’altronde il creatore di Bella – novello Frankenstein – si chiama non a caso Godwin dove il gioco di parole su God è anche un riferimento al secondo cognome (meno noto) di Mary Wollstonecraft Godwin, l’autrice di Frankenstein nel 1818, ed è a sua volta una vittima degli esperimenti crudeli di suo padre che utilizzava il suo corpo per confermare cervellotiche ipotesi sul funzionamento degli organi.
Lo stesso Godwin, che nel corso del film si prende diritti divini sulla vita degli altri, (uomini e, non dimeno terribilmente, animali), lo fa sempre in nome di una presunta ricerca della conoscenza che però non fa altro che ridurre esseri umani e animali al loro corpo, svuotati di coscienza, privi di anima (nella cui esistenza pertanto, come affermato da Bella, Godwin non crede affatto – aspetto, quello dell’assenza dell’anima che non viene mai smentito per tutta la durata del film).
Bella viene presentata come un modello di crescita e di emancipazione femminile nei confronti dei maschi insulsi, arroganti, deboli, psicopatici e, generalmente, negatori della sua libertà. E in parte è vero, è difficile immaginare delle figure maschili più deboli e sgradevoli dei comprimari dell’allegoria di Lanthimos, ma dove la conduce il suo percorso? A scoprire l’esercizio libero del sesso – davvero dobbiamo ancora considerarlo una scoperta? – e vivere la propria vita in una autosufficienza emotiva quasi vegetativa.
Che succederebbe se provassimo a immaginare Bella con sembianze fisiche diverse e diverso genere sessuale: proviamo a immaginare al posto di Bella, al posto della meravigliosa Emma Stone, un uomo, brutto o bello che sia non importa, un maschio che agisce come Bella, si comporta come Bella, un uomo che usa a suo piacimento l’unica persona che prova per lui un sentimento di rispetto, (il giovane McMcandles che a questo punto, ovviamente dobbiamo immaginare come una giovane donna), illudendola, ferendola sulla base del sentire del momento senza alcuna empatia, che senso assumerebbero per il pubblico le sue parole? Che valore avrebbero il suo perseguire il nuovo e la sperimentazione solo in quanto tale? Credo che la risposta sia immediata e non difficile.
E dunque, direi, è molto curioso vedere come certi atteggiamenti, condannati e
ri-condannati senza fine nel genere maschile siano diventati oggetto di approvazione nel genere femminile.
Dov’è il sacro femminile in Bella, dov’è la morbidezza, la dolcezza, l’empatia, l’accoglienza, la luna, l’acqua, l’eros autentico, il dialogo, l’ascolto, il senso del sacro, l’amore.?
Bella, assunta a modello di femminile ribelle, sfrontato e coraggioso, mi appare priva di un autentico femmineo. Una Venere dura, empiricamente orientata verso la vita, che disseziona e analizza.
Ma consideriamo un altro aspetto mostruoso di Bella: tutto le è dovuto. Lei non deve mai rispondere delle proprie azioni e tutto quello che fa è giustificato dai suoi sentimenti e sensazioni che non possono, in quanto tali, giustamente mai essere messi in discussione.
Bella prova dolore per le disuguaglianze sociali, prova dolore alla vista dei poveri, ma decide di salvare il prossimo con il proprio lavoro? È pronta a provare qualcosa di meno gradevole in nome di quello che provano gli altri? No, certo che no.
Decide di intervenire in fretta e furia rubando i soldi di Duncan (perché questo è di fatto quello che fa) e consegnandoli ingenuamente a due marinai che, ovviamente, non li doneranno ai poveri.
Tralasciando l’insensatezza del suo gesto, quello che colpisce è che non sente il bisogno di coinvolgere Duncan nell’azione perché non riconosce al suo amante alcuna autonomia e legittimità etica. Egli è nulla.
E subito dopo il suo inutile gesto, i poveri sono gia dimenticati.
Ma, in fondo, anche l’atto di finta generosità (fare beneficenza con i soldi rubati ad altri che razza di generosità sarebbe? Non direi che Bella si possa candidare come novella Robin Hood) non è mosso dall’amore per i poveri, quanto dal bisogno di liberarsi di una emozione interna che la fa stare male: Bella non dona ai poveri per i poveri, ma perché la vista dei poveri le causa dolore e quindi questo dolore deve essere eliminato.
Tornando al sesso, notiamo come il piacere sia quasi sempre considerato esclusivamente come una reazione fisiologica per cui l’interazione con altri esseri umani è esclusivamente strumentale. Duncan vale in quanto capace di fornire una prestazione quantitativamente superiore e più energica della maggior parte degli altri maschi, a questo si riduce il suo valore. Il sesso è definito come “furiosi sobbalzi”, che ovviamente suonano bene, ma non si estende mai oltre. Non ci sono né eros né amore nella vita di Bella.
Quello che colpisce è la riduzione della dimensione erotico-sessuale alla fisiologia, al cetriolo infilato nella vagina.
Stupisce che molti abbiano visto nella scoperta fisiologica della sessualità un momento di emancipazione, direi che ormai dovrebbe essere un dato di fatto. Evidentemente qualcuno vive ancora prigioniero di una repressione non dichiarata che cerca qualche facile via di fuga? Non saprei davvero…
Persino il discorsetto del generale, che ha il ruolo grottesco di un cattivo da cartoni animati, sembra sottolineare ancora, parlando del suo tentativo di eseguire l’escissione del clitoride di Bella, l’identificazione della parte anatomica con il desiderio erotico, lo spirito di avventura, il desiderio di vivere e scoprire.
E potremmo a lungo parlare della dolorosa apparizione continua di animali creati in laboratorio che sembrano sculturine di plastilina create da bambini crudeli e psicotici, che vengono accettati quasi col sorriso spontaneo di una stranezza curiosa e grottesca, il cane pollo, la gallina maiale, l’oca gatto e non so che altro per finire con la povera capra: il finale dove il corpo del generale viene chirurgicamente modificato sostituendo il suo cervello con quello di una capra introduce io direi un clamoroso errore logico.
Nella logica del film, se Bella non è Victoria perché è il cervello la sede della persona, allora il corpo maschile che mangia erba alla fine del film non è il generale, il generale non c’è più, è morto, ma è la capra. Quindi è stata punita la capra condannandola a vivere il resto della sua vita in un insulso corpo umano.
Insomma, “Povere creature” è un film che fa leva su una serie di luoghi comuni apparentemente rivoluzionari – la scoperta del sesso senza pregiudizi, l’emancipazione femminile, la libertà di scelta di una giovane donna, tra cui anche la scelta, che deve essere liberata dal giudizio, di fare la puttana – che non sono più rivoluzionari; potevano essere tali mezzo secolo fa o nell’Inghilterra vittoriana (epoca nella quale, peraltro, non a caso il film è ambientato), ma non sono più tali.
In compenso, in nome di queste presunte apparenti conquiste, ci si avvita in una visione fisiologica ed egoista dell’esistenza che riduce la persona al suo corpo; la vita a secrezione fisiologica, l’eros a stimolazione degli organi, il femminile alla totale assenza di sacro femminile, il maschile ad un circo di inutili, annichilite, vuote figure prede dei propri istinti, del proprio ego, e di una ridicola pochezza di esistenza, il mondo ad una sala operatoria dove dissezionare ogni cosa, e la scienza in una nuova chiesa a cui votarsi priva di onore e di morale, non così lontano dalla attuale, intoccabile religione della nuova Scienzah che scivola silenziosamente e naturalmente dalla creazione di virus mortali da sparpagliare all’occorrenza qua e la a presunti vaccini sperimentali che modificano il D.N.A umano e, decisamente, stanno contribuendo in maniera importante alla riduzione della popolazione mondiale, verso microchip impiantati nel cervello sotto il segno di un transumanesimo ideale, espressione di un ipotetico grandioso, evolutissimo futuro per l’umanità, mentre gironzolano per le campagne, chissà,, belando, starnazzando e grugnendo, capre gatti, cani polli, galline maiali!
E Bella? Bella è un mostro, un mostro molto bello, ma una figura oscura e emblematica che si ritorce al suo interno incapace di far suo altro da sé.
E forse, in qualche misura, si è portati a dar ragione a Duncan, per quanto egli sia una deplorevole figura, nel suo momento più basso, quando è rinchiuso in una specie di manicomio – quando accusa la sua amata di essere un mostro mascherato da ragazza innocente e delicata che con la sua mente disseziona e distrugge le altre persone.
Parafrasando Goya, il vuoto dell’anima genera mostri, per quanto belli e attraenti, pur sempre mostri.
Quindi, di cosa è fatta questa epica, cinematograficamente bellissima, allegoria filmica?
Decisamente, se Bella è l’allegoria di una visione dell’esistenza, non si può che esserne un po’ angosciati.
Ma andando oltre questo ecco rivelarsi in maniera chiara l’allegoria di un mondo dominato da un femminile maschilizzato, in totale assenza di un maschile sano.
Un modello di eroina/eroe totalmente chiuso in se stesso, privo di qualunque empatia, a cui tutto è dovuto e del quale ogni azione è giustificata e mai criticabile
E per finire, Bella vuole diventare un medico. Grande rivelazione finale al termine del suo ben poco avventuroso e originale – a mio avviso – percorso di conquista di se stessa.
Che tipo di medico potrà mai essere Bella nel suo mondo?
Un mondo dove tutto inizia e finisce nel corpo, dove le regole dell’esistenza, inferno e paradiso, sono tutti chiusi nei confini della pelle, dove non esiste anima e ogni aspetto dell’evolvere ed esperire è fisiologico, funzionale e anatomico…
Che tipo di medico sarà mai?
Chissà…
Ma facciamo davvero così fatica a immaginare la risposta?