“Tutto ciò che non vogliamo sapere di noi stessi finisce sempre per giungerci dall’esterno e assumere la forma di Destino.”
Carl Gustav Jung
L’uomo dice “Io” e con questo termine intende un’infinità di diverse identificazioni:
Io sono un essere di sesso femminile, di nazionalità italiana, artista, attrice, insegnante etc.
Sono attivo, dinamico, tollerante, bravo, amante degli animali, amate della pace, bevo il tè, ho per hobby la cucina e così via…
Queste identificazioni sono state a un certo momento precedute da scelte: una possibilità è stata preferita ad un’altra, un polo è stato integrato nell’identificazione mentre l’altro è stato escluso. Così l’identificazione: “Io sono attivo e bravo” esclude automaticamente: “Io sono passivo e pigro”. Da un’identificazione deriva per lo più molto rapidamente anche una valutazione: “Bisogna essere attivi e bravi – non è bene essere passivi e pigri”. Indipendentemente dal fatto che una simile valutazione possa essere sostenuta da argomentazioni e teorie, si tratta in ogni caso di un punto di vista soggettivamente convincente.
Oggettivamente questa è semplicemente una possibilità di vedere le cose – non certo l’unica.
Ogni identificazione che si basa su una decisione esclude un polo. Però tutto ciò che noi non vogliamo essere, che non vogliamo ritrovare in noi, che non vogliamo vivere, che non vogliamo che entri a far parte della nostra identificazione, costituisce il nostro “lato oscuro”, ovvero, per usare un termine coniato da Jung, “l’ombra”.
Infatti il rifiuto della metà di tutte le possibilità non fa certamente si che queste spariscano, ma le bandisce semplicemente dall’identificazione dell’Io o dalla coscienza superiore.
Il “no” ha eliminato dalla nostra visuale un polo, ma non lo ha fatto sparire. Il polo rifiutato continua infatti a vivere ininterrottamente nell’ombra della nostra coscienza. Come i bambini piccoli credono che chiudendo gli occhi si diventi invisibili, allo stesso modo gli uomini credono di potersi liberare di una metà della realtà rifiutando di accettarla dentro di sé.
Così si permette a un polo (per esempio la virtù) di entrare nella luce della nostra coscienza, mentre il polo opposto (pigrizia) deve restare nell’ombra, in modo da non vederlo. Il non vedere porta rapidamente a concludere di non avere quella determinata caratteristica e si crede che un polo possa esistere senza l’altro.
L’ombra, quindi, è la somma di tutte le realtà rifiutate, quelle che l’uomo non vede, o non vuol vedere, e che per lui sono quindi inconsce. L’ombra è il pericolo maggiore dell’uomo, perché essa è in lui senza che lui lo sappia. L’ombra fa si che tutte le intenzioni e gli sforzi dell’uomo si trasformino alla fine nel loro opposto. Tutte le manifestazioni che derivano dall’ombra vengono dall’uomo proiettate su un anonimo “male ” che esisterebbe nel mondo, in quanto ha paura di trovare in se stesso la vera fonte di ogni aspetto negativo.
Tutto ciò che l’uomo non vuole e non desidera, deriva dalla sua propria ombra, che è la somma di ciò che egli non vuole avere. Però il rifiuto di confrontarsi con una parte della realtà e di viverla non porta affatto allo sperato successo. Al contrario, le realtà rifiutate costringono l’uomo ad occuparsi di loro in maniera particolarmente intensa.
Questo avviene per lo più attraverso il giro vizioso della proiezione, perché se si è rifiutato e represso in sé un determinato principio, fa sempre paura incontrarlo di nuovo nel così detto mondo esteriore.
La legge di risonanza ci insegna che noi possiamo venire in contatto soltanto con ciò che suscita in noi una risonanza. Questa verità, porta all’identità di mondo esteriore e mondo interiore. Nella filosofia ermetica questa uguaglianza di mondo esteriore e mondo interiore viene rappresentata coi termini di uomo e cosmo: microcosmo = macrocosmo.
Proiezione significa quindi che noi con una metà dei principi creiamo il “fuori” in quanto non vogliamo accettarli come “dentro”.
L’Io crea un Tu, che viene vissuto come fuori. Se però l’ombra è costituita da tutti quei principi che l’Io non ha voluto integrare, in ultima analisi ombra e fuori sono la stessa cosa.
Tutto ciò che, di esterno ci fa arrabbiare, è in realtà qualcosa che è depositato nella nostra ombra e verso il quale ci accaniamo utilizzando lo specchio del mondo esterno.
Noi sperimentiamo la nostra ombra sempre come fuori – e del resto se fosse dentro di noi o presso di noi non sarebbe più ombra, I principi rifiutati, che apparentemente ci pervengono dall’esterno li combattiamo ora appassionatamente nel mondo esterno a noi proprio come li avevamo combattuti dentro di noi.
Ritroviamo qui una legge ironica cui nessuno può sottrarsi: l’uomo si dedica soprattutto a ciò che non vuole. Nel far questo si avvicina tanto al principio rifiutato che finisce per viverlo!
Il rifiuto di un qualunque principio fa con certezza in modo che la persona viva direttamente questo principio.
In base a questa legge i figli col tempo assumono i comportamenti che odiavano nei genitori, i pacifisti diventano militanti, i moralisti licenziosi, gli apostoli della salute si ammalano gravemente.
Se così è, in realtà non esiste un mondo circostante che ci forma, ci influenza o ci fa ammalare – il mondo circostante si comporta come uno specchio nel quale noi vediamo sempre e soltanto noi stessi, per l’esattezza anche e soprattutto la nostra ombra, per la quale in genere siamo ciechi. Come guardando il nostro corpo fisico riusciamo a vederne soltanto una piccola parte, e non siamo affatto capaci di vederne vari aspetti (colore degli occhi, viso, spalle, ecc.) se non con l’aiuto di un riflesso nello specchio, allo stesso modo per quello che riguarda la nostra psiche siamo parzialmente ciechi e possiamo riconoscere la parte a noi invisibile (ombra) solo tramite la proiezione e il riflesso del così detto mondo esterno o mondo circostante.
Specchiarsi serve però soltanto a chi si riconosce nello specchio, altrimenti è un’illusione.
Chi vede nello specchio i propri occhi azzurri, ma non sa che si tratta dei propri occhi, si illude e non acquista conoscenza. Chi vive in questo mondo ma non si rende conto che tutto ciò che percepisce e vive è lui stesso, rimane nell’illusione e nell’inganno.
È vero che l’illusione risulta incredibilmente vera e reale – ma, del resto, non si dovrebbe mai dimenticare questo: anche un sogno risulta perfettamente reale fintanto che ci troviamo in esso. Bisogna svegliarsi per rendersi conto che il sogno è un sogno.
Questo vale anche per il grande sogno della nostra esistenza.
Bisogna prima svegliarsi per poterci render conto dell’illusione.
La nostra ombra ci infonde paura. Questo non deve meravigliare, in quanto essa consiste esclusivamente di tutte quelle parti di realtà che abbiamo allontanato il più possibile da noi. L’ombra è la somma di tutto ciò che noi crediamo fermamente che dovrebbe essere eliminato dal mondo affinché il mondo possa essere bello e sano. Ma le cose stanno esattamente all’opposto: l’ombra contiene tutto ciò che il mondo – il nostro mondo – ha bisogno di integrare per sanarsi. L’ombra ci rende malati in quanto ci manca la sua presenza per poter essere interamente sani.
Il racconto del Graal tratta proprio questo problema. Il re Amfortas, ferito dalla lancia del mago Klingsor, o in altre versioni da un avversario pagano o addirittura da un nemico invisibile, è ammalato. Tutte queste figure sono evidentemente chiari simboli dell’ombra di Amfortas, dell’avversario invisibile. La sua ombra lo ferisce e con le sue forze egli non può sanarsi in quanto non osa interrogarsi sulla vera causa della propria ferita. La domanda necessaria da porsi sarebbe però quella circa la natura del male. Dato che non vuole esporsi a questo conflitto, la sua ferita non può cicatrizzarsi, e il re aspetta un redentore che abbia il coraggio di porre la domanda risanatrice.
Parzifal è all’altezza di questo compito, perché – come dice il suo nome – egli attraversa la polarità di bene e male e si conquista quindi il diritto di porre la domanda redentrice: “Di che cosa hai bisogno, zio?”. La risposta è sempre la stessa, sia che venga da Amfortas che da qualunque altro malato: “La tua ombra!”. Soltanto la domanda relativa al male, al lato scuro dell’uomo, ha effetti risanatori nella nostra storia. Parzifal nel suo cammino si è confrontato coraggiosamente con la propria ombra ed è disceso nelle buie profondità della propria anima – fino a maledire Dio.
Chi non rinnega questo cammino attraverso le tenebre, diventerà infine un autentico latore di salvezza, un redentore. Tutti gli eroi mitici hanno dovuto confrontarsi appunto per questo con mostri, draghi e demoni e addirittura con l’inferno, se volevano diventare forti e capaci di dare salvezza.
L’ombra rende malati – l’incontro con l’ombra rende sani!
Questa è la chiave per comprendere malattia e guarigione. Un sintomo è sempre una parte di ombra precipitato nella materia. Nel sintomo si manifesta ciò che manca all’uomo. Nel sintomo l’uomo vive ciò che non voleva vivere nella coscienza. Il sintomo rende l’uomo nuovamente integro attraverso il giro vizioso che passa attraverso il corpo fisico. È il principio di complementarità che fa si che la globalità in ultima analisi non vada perduta. Se una persona rifiuta di vivere un principio nella propria coscienza, questo principio precipita nel corpo e si manifesta come sintomo. Questo induce la persona a vivere e a realizzare il principio rifiutato. In questo modo il sintomo guarisce la persona – è il sostituto fisico di ciò che manca all’anima.
Non fa meraviglia quindi che noi abbiamo così poca simpatia per i nostri sintomi: essi ci costringono a realizzare quei principi che non volevamo vivere. E così continuiamo la nostra battaglia contro i sintomi – senza utilizzare la possibilità che ci era stata offerta di utilizzare i sintomi per guarire. Proprio nel sintomo possiamo imparare a conoscerci, possiamo vedere quei lati della nostra anima che non riusciremmo mai a scoprire in noi, in quanto si trovano nell’ombra. Il nostro corpo è lo specchio della nostra anima – esso ci mostra anche ciò che l’anima non riesce a capire senza sottoporsi a un confronto. A che serve lo specchio migliore del mondo se noi non riferiamo a noi stessi quello che abbiamo visto?
Valentina Cidda Maldesi