L’Infuso delle 17, di mercoledì 26 febbraio 2025

 

 

LI TRE FERAL MORBI DE LO MAGO

 

 

Tre potenti Maghi, in pellegrinaggio verso la Montagna Sacra di Uranandaor, raccoltisi intorno a un fuoco all’imbrunire, si trovarono a disquisire su quale fosse lo morbo antimagico più dannoso di tutti.

 

Il primo Mago, quello dalle vesti nere, caricata la sua lunga pipa in radica di frassino e praticato un accurato lavoro di pigino alternando veloci e leggere tirate a boccate più profonde e piene, nella contemplazione delle prime fumose spire così sagaciamente si espresse:

 

Lo morbo più ferale, qual malattia morale che si diffonde rapidamente e non lascia scampo alcuno, l’è certamente lo Iudizio! Badate ben: lo Iudizio nostro su li altri e la pregnanza de lo Iudizio de li altri su di noi son figli de lo stesso padre: lo Iudizio nostro su noi stessi! Quanto più siam avvezzi a giudicare l’operato o il nostro essere, più spiccato e inesorabile sarà lo Iudizio su li altri, e sciagurato e avvampante l’impatto ne lo animo nostro de lo iudizio de li altri su di noi. Lo Mago tiene che trasformar lo Iudizio ne la sua controparte  pura, ossia in Osservazione neutra, di sé e de li altri, a la qual dea lasciar seguire una azione trasformativa de lo fenomeno del qual si cruccia attraverso lo Iudizio suo. Se giudico, l’azione non si innesta, non emergendo dal profondo fosso de lo Iudizio; se osservo, non v’è pesantezza e l’azione divien lesta. Indi per cui, tal morbo de lo Iudizio è zavorra per lo Mago o per chi intende sviluppar lo Sé suo, e spreco di vital energia e rallentamento de la pratica di trasformazione del reale.”

 

Gli altri due Maghi concordarono, borbottando compiaciuti forbiti epiteti di accondiscendenza. Pacatamente insorse il secondo Mago, quello dalle vesti bianche, che, appoggiandosi placido al manico dalla forgia di testa di drago del suo bastone in legno di sambuco nero, ieraticamente così disse:

 

Certo, funesto è lo morbo sul quale tu hai così ragionevolmente argomentato. Ma ve n’è uno ch’è superiore in potenza, essendo come un suo terribil figlio improdigo. Quel ch’io intendo è lo più feral morbo de lo Senso di Colpa! Che è consolatorio, compensatorio in toto, non lasciando spazio alcun a redentiva azione, perpetuamente saziando lo sciagurato che nutre colpa coll’incessante divorar sé stesso, in guisa d’un giammai sazio Pantagruele. Quanto – come ben sappiam, oh esimi – le religioni a dio unico hanno usato lo Senso di Colpa quale invisibil verga per la fustigazione de le anime, ed eretto templi su di essa e creato con lo diafano metallo suo catene per lo controllo de li fedeli, de le quali solo un Ercole de lo Spirito avrebbe forza in guisa tale da spezzar le grosse infauste maglie. Codesto è lo morbo de lo comando che agisce per involontaria procura: non richiede che lo controllor controlli e imperi diretto: basti che lo morbo venga saggiamente instillato ne lo controllato perché costui si comandi da solo secondo lo volere e lo disegno dell’untore e padrone suo! Così lo genitore col figliolo, lo marito con la uxora – o la uxora con lo marito -, lo precettore co l’allievo, lo sovrano col popolo, eccetera eccetera eccetera. Lo Mago sa che lo Senso di Colpa va trasformato regredendolo a semplice assunzione di responsabilità, per una repentina e decisa azione correttiva de lo fenomeno per cui la colpa si genera e alimenta. Lo Senso di Colpa è zavorra per lo Mago o per colui chi intende sviluppar lo Sé suo, e proprio come, se non di più, lo precedente morbo de lo Iudizio, è spreco di vital energia e rallentamento de la pratica di trasformazione del reale.”

 

Gli altri Maghi, in sollucchero per ciò che avevano appena udito, convenivano esaltati con quanto esposto. Mentre il Mago dalle vesti nere proseguiva nelle sue boccate, disegnando col fumo forme animali – un cavallo, poi un’aquila, poi un delfino – che per qualche secondo sembravano animarsi prima di dissolversi entro la propria fumosa sostanza, Il Mago dalle vesti bianche, nel ritrovato silenzio, fece roteare la testa del suo bastone sulle braci assopite, generando spire che rinvigorirono un nuovo fuoco. Fu all’intensificarsi di quella calda luce che il terzo Mago, quello dalle vesti rosse, riempì tre legnose tazze con l’idromele fermentato che sgorgava direttamente dal mazzetto di achillee che elegantemente faceva volteggiare con la mano. Prese poi parola e, con in bocca il sapore dello speciale liquore, così vivacemente profferì:

Certo, certo… li due morbi sopra li quali avete a ragion veduta meditato, son terribili. Ma ve n’è un terzo che mi preme evidenziar, giacché, essendo esso pensiero in forma di parola, e parola in forma di cacofonica melodia, e giacché lo pensier genera la materia e la parola crea quel che dice, lo morbo più feral di tutti è certo lo Lamento! È codesta una pratica nefasta che ritmizzata con assidua incontrollata frequenza porta lo lamentante a relizzar lo peggio de lo peggio di quello per lo qual usa lamentarsi. È vizio alimentante bile, la quale ha lo potere di degenerar gli umori e modificar l’emanazione de l’energia in pura corrosiva cattiveria, deteriorante sé medesimi più che li altri. Lo Lamento puote concernere la propria stessa condizione umana, la condizione dell’essere, de lo corpo, de la povertà, de la solitudine, de la sfortuna, de l’abbandono, de la sofferenza, de la ingiustizia, dell’altrui agir, e così infinitamente discorrendo… Lamento, Lamento, Lamento! Non è che a furia di viver lo Lamento per me stesso esco dalla condizione per la qual mi lamento per me stesso, semmai l’avvampo contro me stesso; non è che a furia di viver lo Lamento d’altrui cause esco dalla condizione per la qual mi lamento delle altrui cause, semmai l’ignifico fino a bruciarmi; e, non da ultimo, non è che a furia di viver lo Lamento per Tizio, Caio o Sempronio, esco dalla condizione di fastidio o sofferenza per la qual mi lamento di Tizio, Caio o Sempronio, semmai spettralmente l’espando e senza fine la moltiplico! Essendo questa cagione de lo fatto che lo Lamento “informa”, ovvero dà forma, in sé e intorno a sé, ha potere degenerante, degradante, marcescente, e brutalmente destruttivo di qualsiasi germe di armonia, rinascita o risveglio. Necessario allora è a lo Mago trasformare lo Lamento in Atto Creativo: ossia far convergere alla mente tutte le emozioni che generan Lamento e direzionarle coscientemente, con presenza e centratura, attraverso uno slancio di volizione determinata e chiara dal cuore, che è lo centro, nella realtà tangibile: un atto di creazione della materia in seno alla Bellezza, all’espressione del Sé, alla condivisione… creo, creo, creo! Componendo melodie, opere pittoriche, scultoree, danze, amplessi d’amore, semine, accudimenti, nutrimenti; realizzando… A ciò, io dico, lo lamento è zavorra per lo Mago, o per colui chiamato a sviluppar lo Sé suo e come, se non di più, li precedenti morbi de lo Iudizio e della Colpa il Senso, lo Lamento è intenzionale abitudine volta al disprezzo di Sé e al rallentamento de la pratica di trasformazione del reale.”

Gli altri due Maghi non poterono non esprimere tutto l’apprezzamento, tra oscillazioni di capo e dilatazioni di palpebre, a conferma della giustezza delle argomentazioni testè condivise.

La notte calò così su di loro e, come ritemprati e nutriti da quella condivisione, senza giudizio, senso di colpa e lamento, ripresero il loro cammino sotto il chiarore delle stelle e di una generosa e grata gibbosa di luna crescente.

 

Valentino Infuso

 

 

Immagine: “In viaggio verso Uranandaor”
(elaborazione con Stupidera Artificiale)

 

NOVITA’
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“LI TRE FERAL MORBI DE LO MAGO”
storiella medicamentosa

 

 

 

 

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