L’Infuso delle 17, di mercoledì 15 gennaio 2025
RAGGIONE E RAGGIONEVOLEZZA
Una mattina, rientrando a casa, ho incontrato Salvatore. Non il Salvatore, ma Salvatore, il vicino di casa, un signore di giù prossimo agli ottanta, scolasticamente non istruito ma dotato di una naturale magistrale saggezza intorno alle cose semplici della vita.
Salvatore, come tutte le mattine, se ne stava arzillo e placido, intento nella cura attenta del suo giardino. Mi vede passare e mi chiama. Non avevo per niente voglia, erano tante le cose che ero chiamato a fare in quel momento, ma mi sembrava scortese non soffermarmi un attimo e chiedergli, con non tantissimo interesse devo ammettere, come stesse. Anche se, mi era assolutamente chiaro, sicuramente meglio di me.
“E come debbo stare? La vecchiaia s’è proprio ‘nnammurate ‘e me, non mi lascia manco ‘nu mumento. Tu piuttosto comme stai? Non me n’avere, ma ieri notte aggio sentuto che ti sei ‘nfoiato assai co’ tua figlia… non per ‘mpicciarme, però ti ho sentito alzare un po’ troppo la voce e, sapendo che sei un tipo tranquillo, mi ha fatto specie e meraviglia la cosa… e allora me so’ detto: ma che può avere fatto di così terribbile ‘sta piccerella che lo ha fatto arrabbiare accussì? E non lo so, mi sono iniziate a venire a mente tutte le cose che possono fare arrabbiare ‘nu genitore accussì comm’eri arrabbiato tu: forse non ha finito i compiti? non ha messo a posto la cammera? non aiuta nelle faccende in casa, anzi, mette ancora cchiù disordine? È stata scustumata nel rispondere? ha mancato di rispetto? Ha fatto qualche cosa che non doveva fare? ‘Nsomma ne ho penzate parecchie, eh… ma poi mi è venuto spontaneo un altro penziero sopra a questi, che li ha scancellati tutti: ma qualsiasi cosa può aver fatto ‘sta criatura, ma comm’è che il suo papà s’è alterato di questa maniera? E m’ha fatto penzare a me, a tutte le volte che mi sono alterato io allo stesso modo, soprattutto con le persone che mi volevano più bene. Ero parecchio irascibile, intrattabile alle volte, è per questo che canosco bene la sensazione. Sai qual è la rabbia peggiore? Quella di chi pensa di aver raggione… la convinzione di avere raggione fa fare e dire le peggio cose agli esseri umani, li fa diventare arroganti, supponenti e indisponenti! E guai quando io stesso sentivo di avere raggione, soprattutto in cose più stupide e banali ma che per qualche strano motivo hanno il potere di spostare il sistema nervoso con un’astuzia e una raffinatezza da farti perdere il senno. Poi è successa una cosa che mi ha fatto capire veramente. Una volta io c’avevo un cane – Cerbero se chiammava – e mi piaceva farlo uscire da solo qui intorno che è tutta natura, tanto che era tranquillo, nonostante il nome: faceva il suo giretto, i suoi bisogni, le sue ricerche, le sue annusate e se ne tornava a casa, senza dare fastidio a nisciuno. Una sera però, erano intorno alle undici, aprì la porta a vetri di casa un attimo per chiudere le imposte e – ué! – quel malandrino non me la facette sotto il naso e scappò? Niente di male – a quell’ora non c’era nessuno in giro ma poi, come ti ho detto, era un cane assolutamente pacifico – ma c’aveva un vizio brutto assai: col favore delle tennebre, iniziava ad abbaiare come un ossesso in giro, chissà, forse ai cinghiali o ad altre bestie silvatiche che si aggirano qui intorno, o forse ai fantasmi, che qua, amico mio, ce ne stanno parecchi eh… insomma, resta il fatto che iniziò a gironzolare qua e là a quell’ora tarda cominciando puntualmente ad abbaiare, e mica solo lontano sulle colline, anche intorno casa, qua dietro. Il problema era che quella cosa che lui viveva, al buio abbaiando ai fantasmi, la sentiva come una missione, e appena mi avvicinavo per chiamarlo lui mi fissava un attimo e poi scappava più lontano! E più mi avvicinavo più si allontanava, ma non appena rincasavo lui tornava intorno casa ad abbaiare. Sembrava mi volesse sfottere… Insomma, quella volta, me ne rientrai in casa pensando “vabbè, fa pure un freddo becco, che tanto si stanca presto e torna da solo…”, così nonostante il sonno lo aspettai sveglio in casa. Non passarono neanche dieci minuti che stava fuori che invece del cane alla porta sentì sbattere forte. “E che è?!”. Aprì: era la signora Marisa del piano di sopra che, tutta infreddolita in scialle e ciabatte, altezzosa e indisponente mi dava addosso perché l’abbaio del cane sotto la finestra non la faceva riposare… Ci aveva ragione, poveretta e, anche se non erano manco dieci minuti che Cerbero era fuori, potevo capire il fastidio. Così mi scusai, cercai di tranquillizzarla, e andai subbito incontro al cane cercando di farlo rincasare. Niente: appena mi avvicinavo, mi guardava un attimo e poi scappava più lontano… rincasai da solo e ogni tanto aprivo la finestra per chiamarlo ma addirittura anche solo la mia voce lo rimandava lontano, per tornare vicino casa poco dopo sempre ad abbaiare. Uscì ancora, due o tre volte, a intervalli regolari e niente: ‘stu disgraziato voleva proprio farmi uscire pazzo quella sera, lo faceva apposta. “Vabbè, è passata quasi un’ora, si sarà stancato ormai, tornerà…”, pensai, quand’ecco che sentì una voce urlante fuori, e nun era ‘o cane. Mi precipitai all’esterno e vidi la signora Marisa affacciata al balcone che sbraitava come un’ossessa urlando le peggio cose! Ma in maniera brutta brutta, sguaiata… Che si era rotta i cosiddetti, che io le mancavo di rispetto, che non sapevo tenere un cane, che lo dovevo tenere in casa legato, che lo dovevo portare via in altre ragioni addirittura, aggiungendo, con mia sommo stupore, cose brutte e squallide sulla mia persona… hai voglia a spiegare che la bestiola era scappata e che, come ben sapeva, si trattava di un episodio del tutto eccezionale e che stava esaggerando con quella reazione, pur comprendendo che era il nervoso di un mancato sonno che la faceva agire così… ma niente, non si chetava, a forza voleva creare inimicizia, cosa che – le dissi – non le conveniva creare con me. Ma niente, non voleva saperne, potevo dire qualsiasi cosa che nun c’era verso… era fuori controllo ormai. E sai perché? Perché lei sentiva di avere raggione – e ce l’aveva per carità -, ma quella sicumera la rese brutta, tirando fuori la parte peggiore, scadendo nella più bieca mancanza di rispetto umano, al di là di tutto. A parte che dopo cinque minuti quel fetente di cane si decise a tornare, ma a me rimase un profondo senso di amarezza. Una persona di solito così gentile, aperta, cordiale e disponibile, in una condizione di fastidio emotivo, armata del pensiero di avere raggione, inizia a tiranneggiare se stessa e gli altri. Ma io non riuscivo ad avercela con lei, e non per il senso di colpa per effettivo disturbo arrecato, ma perché mi resi conto di quanto fosse fraggile in quel momento la signora Marisa. Era evidente che non stesse bene, che addirittura le fosse accaduto qualcosa di spiacevole quel giorno o che le stesse accadendo in quel periodo. E mi fece riflettere su quanto gli esseri umani sono delicati e tristi quando il pensiero di aver raggione arriva in un momento di profonda difficoltà, di malessere, di mancanza di presenza a se stessi, di mancanza di quella gioia per la vita che da’ un senso alle cose. Fu lì che mi resi conto che l’essere umano ha il dovere divino di provvedere alla propria centratura, di alimentarla quella gioia per la vita -che non è un optionàl -; l’essere umano ha il dovere divino di stare bene con se stesso, perché se non lo fa diventa un pericolo pubblico! Chi pensa di aver raggione, nel malessere perde la raggionevolezza… Così provai addirittura tenerezza per la signora Marisa, per come si era ridotta a stare in quel momento, forse aveva bisogno di aiuto vero, sincero, forse aveva bisogno di umanità, tutta l’umanità che in quel momento non fu in grado di provare. Quando la rividi non dissi nulla e l’abbracciai forte. Chi se ne importava più se era stata scustumata e indisponente. Oggi le sono ancora grato per la lezione che aggio ‘mparato grazie a essa.
Questo per dire – a te mo, e scusami se mi permetto – che per quanto tu possa sentirti nella raggione come padre, come compagno, come vicino, come artista, comm’ommo… ricorda sempre che se ti succede che ti alteri accussì assaie da sentire una rabbia fuori controllo, vuol dire che stai in un momento in cui non stai compiendo il tuo dovere umano primario: quello di essere presente a te stesso, di riuscire a stare bene con te stesso… e questo è una necessità, un dovere divino appunto perché, qualunque cosa accada, possiamo noi non essere distruzione e sofferenza per chi ce vo’ bbene. Scusa, mi sono dilungato troppo… Mi sono dilungato troppo?”
Macché, Salvatore, macché… non ti sei dilungato troppo, mi hai fatto solo tornare il sorriso stamattina, non puoi immaginare quanto te ne sia grato. Questo avrei voluto dirgli. Ma non ho detto nulla mentre lo guardavo con gli occhi lucidi. L’ho solo abbracciato. E mi sono preso un momento per salire al piano di sopra e, senza dire nulla, abbracciare forte anche la signora Marisa.
Morale: quando succede una cosa così dobbiamo aspettare che passa la rabbia e poi abbracciare il fratello/sorella.