Porto X

Questo scritto è politicamente scorretto.

Potrebbe urtare la suscettibilità di una categoria umana assai diffusa: quella dei condòmini.

Ma aspettate, aspettate, ve ne prego: chiedo solenne perdono preventivo, e dirvi che vi voglio tutti bene; e dirvi anche che vi sono vicino, e che non siete soli: siamo tutti incastrati in un unico grande condominio cosmico!


Partiamo dalla nascita, quel momento in cui l’anima -e quindi la quint’essenza dell’Io ancora privo della dimensione dell’io persona
sceglie di incarnarsi in un corpo umano, forse, frutto dell’unione di due individui umani che chiamerà, se se li ritrova crescendo, mamma e/o papà. Magari si ritrova lì qualche altra quint’essenza incarnata qualche tempo prima di essa, altri consimili più o meno piccoli a cui verrà insegnato di riconoscere come fratelli o sorelle; in una casa dove, se va bene, avrà una stanzetta, prima in condivisione -quindi in condominio- con fratelli, poi, sempre se va bene, una tutta sua. Nel primo caso il letto è il suo dominio nel co(n)dominio (dominio comune) della stanza condivisa con i fratelli; nel secondo caso la stanza è il suo dominio in un co(n)dominio rappresentato dalla casa tutta, in cui sono presenti altri più o meno piccoli domini personali: per esempio la stanza dei genitori, degli altri fratelli e sorelle, dei nonni, eccetera eccetera. A sua volta, per la maggior parte dei casi, questo co(n)dominio casalingo-familiare è inserito nel co(n)dominio più ampio della palazzina, in cui sono presenti altri co(n)domíni casalinghi familiari, a loro volta co(n)domíni di piccoli domíni individuali, come dicevamo. E ancora: la palazzina sarà probabilmente inserita nel co(n)domino più ampio di un aggregato di palazzine, i cosiddetti parchi residenziali, e questo insieme, sempre co(n)dominiale, farà a sua volta parte del co(n)dominio quartiere, che a sua volta farà parte di un co(n)dominio di zona, che a sua volta farà parte di una co(n)dominio città, che a sua volta condividerà con altre città un co(n)dominio provincia, in un co(n)dominio regione, in un co(n)dominio nazione e più nazioni in un co(n)dominio internazionale, a loro volta parte di un co(n)dominio continente, e più continenti nel co(n)dominio del pianeta Terra. Ma non finisce qui, perché il co(n)dominio Terra insieme agli altri pianeti condivide il co-dominio Sistema Solare -sì, anche il Sistema Solare è un co(n)dominio, con le sue belle pertinenze e le sue parti comuni, e guai se il moto di un pianeta intralcia o disturba quello di un altro pianeta, già sono decisamente perturbanti le costellazioni in questa difficile armonia cosmica!-, e del co(n)dominio galassia dentro un co(n)dominio di ammassi di galassie, dentro al co(n)dominio di superammassi di galassie, eccetera eccetera eccetera…

Ciascun co(n)dominio è poi dotato di un regolamento proprio, che giustamente provveda al rispetto di determinate condizioni di comune convivenza, dal sistema di valori e di educazione impartito dai genitori -ed eventualmente dalla religione-, passando per il sistema di leggi di un governo (a cui si rifà necessariamente qualsiasi regolamento co(n)dominiale), fino alle leggi della fisica che traducono umanamente (ossia per le umani menti), per quel che possono, le leggi del Cosmo (le mele cadevano già da tempo immemore, molto prima che Newton formulasse la legge di gravitazione universale). Al rispetto di solo queste ultime siamo veramente soggetti, mentre per le altre, di retaggio squisitamente umano, beh possiamo sempre scegliere se rispettarle o meno, rifacendoci ad un sano e genuino buon senso.

Quindi, volente o nolente, quello di esistere in una struttura co(n)dominiale è una scelta obbligata in questa dimensione -dimensione inserita nel co(n)dominio della multidimensionalità, così come l’universo è inserito nel co(n)dominio del multiverso.

Dunque non c’è scelta? Siamo tutti inesorabilmente e fatalmente incastrati nostro malgrado in una serie di co(n)dominiali scatole cinesi da cui non si può uscire? Direi di sì, che sia proprio così.

Tuttavia qualcosa in tutto questo co(n)dominiale intrigato incastro possiamo scegliere.

E cosa? Cosa possiamo veramente scegliere? Possiamo certamente scegliere in quale co(n)dominio esperire la nostra vita, scegliere ossia quell’insieme di variabili, “casuali” o determinate con ferrea volizione, che sentiamo essere determinanti per il nostro percorso di crescita, fase dopo fase, prova dopo prova; possiamo scegliere, e lo facciamo, la famiglia in cui nascere; possiamo scegliere, la famiglia in cui crescere (amici, partner, compagni di viaggio, maestri…); possiamo scegliere l’habitat in cui stabilire la nostra tana, il nostro rifugio; possiamo scegliere la distanza tra noi e l’altro in termini di spazi vitali e metri tra le pareti della nostra abitazione e quella dei vicini.

Vivere, per esempio, in un appartamento con tutti i confini -pareti, soffitto e pavimento, per intenderci- condivisi con altri appartamenti, e quindi con altre anime -vicini di piano, quelli di sotto, quelli di sopra-, non vuol dire semplicisticamente condividere pertinenze fisiche, ma anche spazi vitali, voci, vibrazioni, stati d’animo e dinamiche esistenziali, in una parola, condividere il nostro campo aurico con quello dei vicini che ci circondano.

Succede quando i vicini litigano e ci inonda tutto il loro rabbioso battibeccare, talvolta con tanto di lanci di oggetti contro il lato oscuro -quello che non vediamo- della nostra bella parete condivisa, il cosiddetto dark side of the wall (una crasi così azzeccata tra due famosi canzoni dei Pink Floyd non so quando mi ricapiterà); o quando, più di rado, vicini focosi, travolti da indomita passione, ci deliziano dei loro gaudenti cori orgasmici.

Un viso cupo sul ciglio della porta, ma anche un sorridente “Buongiorno”, una chiacchiera alle spalle di un terzo vicino, un caffè offerto o un aiuto per annaffiare le piante o dar da mangiare al gatto in nostra assenza; la possibilità di chiedere aiuto o soccorso -ricordo che da piccolo scappai da una vicina per usare il suo telefono per chiedere aiuto (a casa non lo avevamo ancora, erano gli anni ’80)-; questi alcuni aspetti, belli e brutti, di un co(n)dominio abitativo.

Il proprio personale dominio -prendiamo per praticità un appartamento- più è ravvicinato agli altri domìni e da essi circondato -gli altri appartamenti, di sopra, di sotto, di lato-, più è fitto il co(n)dominio quindi, più è alto il bisogno di sicurezza e basso il livello di libertà. Occorre fare attenzione al tono di voce, sennò i vicini sentono, sia che ci si arrabbi o che si faccia l’amore; occorre fare attenzione a come calpestare il pavimento, in base all’ora del giorno e della notte e al tipo di calzature -zoccoli! Zoccoli traditori!-; occorre fare attenzione al volume di musica e tv; occorre fare attenzione che non scappi il cane -che magari scagazza sul pianerottolo-, o il gatto, il pappagallo, talvolta il boa, che magari si infila nel letto del vicino, prendendo le misure; occorre fare attenzione a modificare la struttura del proprio dominio senza condizionare quello degli altri; occorre fare attenzione ai regolamenti sulle comuni pertinenze che vanno accettate in base al voto della maggioranza che le ha approvate in quelle grottesche tragicocommedie umane chiamate assemblee di co(n)dominio!

Diciamolo pure: il condominio ci fa sentire sicuri! Ci limita ma per tanti aspetti è comodo.

Ed ecco che possiamo dunque parlare di scelta tra sicurezza e libertà, che è preciso preciso il trade-off utilizzato durante tutte le propagande ricattatorie: meno libertà in cambio di più sicurezza! Vi sa familiare? È il classico patto sociale tra il padrone e lo schiavo: in cambio della tua anima ti fornisco una comoda e sicura gabbia in cui poter sopravvivere fino alla fine dei tuoi giorni. E sarebbe ingenuo, estremamente fuorviante, pensare che questo ricatto venga agìto solo dai sistemi di potere. Esso dimora in ciascuno di noi, agisce istintivamente in misura e modi subdoli e silenziosi, ma agisce eccome. Noi siamo i padroni, noi siamo gli schiavi, contemporaneamente.  Non facciamo altro che limitare la nostra propria libertà in cambio di quei brandelli di sicurezza che noi stessi riusciamo faticosamente a garantirci. Ma possiamo scegliere: essere schiavi di leggi umanoidi all’interno di un co(n)dominio che ci annichilisce proteggendoci, o sovrani del nostro dominio seguendo semplicemente il buon senso delle leggi cosmiche naturali.

La famigerata frase “la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri”, è stata sostituita progressivamente da un’altra più raffinata: “la propria libertà finisce dove inizia la paura di vivere degli altri” (e vuoi vedere che… essa coincide con la nostra stessa paura?), ed è successo senza neanche accorgerci della differenza.

Dunque, più fitto è il co(n)dominio più cedo una parte della mia libertà, nel mio quotidiano vivere.

Ed ecco, ci siamo! Questa è una scelta su cui possiamo agire: il livello di densità co(n)dominiale! Questa è una scelta possibile. Chi si illude che quella di vivere in un appartamento, per esempio, circondato da cinque, dieci, venti altri appartamenti, non sia una scelta ma una condizione subíta che prescinde dalla nostra volontà, e che anzi nulla si possa fare per cambiare il proprio permanere in questa densità co(n)dominiale, mente.

Mente chi addita all’esterno ogni difficoltà o fenomeno spiacevole che si trova in capo, come le condizioni economiche, sociali o familiari. Mente, rivelando una comoda volontà di non modificazione della propria condizione esistenziale, ed usa la logica, con elaborate, utili e financo eleganti spiegazioni razionali per giustificare questo proprio permanere nella comoda e sicura gabbia, da cui in verità non ha alcuna intenzione di uscire. Altrimenti lo avrebbe già fatto. Qualcuno dice che “la mente mente”, certo, ma in realtà sa far di più: la mente seda, dopa, consola, rassicura, tanto quanto àgita, impànica, atterrisce, illude… la mente è un convincente azzeccagarbugli, il migliore, ed è lì preposta a lenire la scomoda verità del nostro tormento più di una bella dose di metadone. Usando la logica possiamo giustificare qualunque nefandezza, qualunque non-scelta, e sentirci a posto con la nostra coscienza. Ma, purtroppo, nel profondo, la nostra anima ha l’incomprensibile e surreale e folle abilità di sgamare la mente, rilevando la trasfigurata vigliaccheria delle nostre azioni traditrici.

E allora, pur non potendo prescindere, cosmicamente e umanamente e matericamente, da una co(n)dominiale esistenza, osiamo permettendoci di scegliere il livello di densità co(n)dominiale in cui esistere: più è fitto, più ricerco sicurezza e comodità -ah, fottuta comodità!-, più è rado e dilatato più anelo libertà.

Ci tengo a precisare: per me comodità e funzionalità sono concetti assai diversi pur venendo spesso confusi tra loro: ciò che è comodo smette di essere strumentale e diventa un fine, tra i più importanti, del nostro agire, per raggiungere il quale spendiamo gran parte del nostro esistere, come se lo scopo della nostra esistenza qui fosse il raggiungimento di sicurezza e comodità -pazzia!-; ciò che è funzionale, invece, è e resta al servizio del mio esistere, un semplice mezzo in ausilio al mio sviluppo.

Veniamo ora al punto -eh già, questa sviscerata finora era solo un pippone a premessa di quanto sto per esporre a seguire.

Prendiamo quella che potremmo definire una scelta di libertà, una tra quelle a fondamento della mio vivere quotidiano: la scelta di staccarmi dalla rete elettrica nazionale. Ultimamente ne stiamo parlando spesso a Porto X, attraverso condivisioni attorno al nostro specifico, lento ma inesorabilmente progressivo, percorso di affrancamento dal Sistema, attraverso piccoli momenti di divulgazione con dirette streaming dai nostri e altri canali (con il prezioso Davide Bonsignore). Possiamo affermare che questa dell’impianto fotovoltaico di autoproduzione di energia elettrica domestica offgrid (ossia, staccata dalla rete elettrica nazionale, al contrario dell’ongrid (che invece si integra alla rete elettrica nazionale) sia una scelta di libertà intesa come un piccolo passo nel cammino verso l’affrancamento dal cosiddetto Sistema? No, non possiamo negarlo: il mio fabbisogno di energia elettrica per alimentare gli aggeggi elettrici ed elettronici non dipende più da nessuno dato che me lo autoproduco attraverso una vera e libera risorsa rinnovabile: il Sole! E questo per l’eternità (sua) finché scia chimica non ci separi…

Ora, appurato che questa sia una reale scelta di libertà, in che misura -mi chiedo- concilia con una scelta di comodità e sicurezza come quella di abitare in condominio? Per cui tanti chiedono in che misura è possibile conciliare l’offgrid in un condominio? Si può fare? È legale? (Sempre rapportandosi alle limitate, e spesso prive di buon senso, leggi umane). Troppe difficoltà, troppi vincoli, troppi limiti, troppi regolamenti interni, troppe invidie, troppe dinamiche di conflitto con gli altri co(n)dòmini. Ed ecco allora che realizzare un impianto offgrid viene ritenuto un lusso, riservato a quelli che vivono in campagna o sul cucuzzolo della montagna, miglia e miglia lontano da qualsiasi altra forma vivente.

Lusso? Esatto. Ma cosa rende questa scelta una questione di lusso?

Mi parte dalle viscere la considerazione che prima della realizzazione di un impianto fotovoltaico offgrid come scelta di libertà, occorre rivedere il senso del proprio abitare in co(n)dominio come scelta di non libertà. Se il mio intento è semplicemente quello di togliere di mezzo la bolletta elettrica con tutte le sue accise, costi di distribuzione, iva eccetera, se dunque il motivo è solo un blando risparmio economico beh, allora, abbiamo l’onestà di ammetterlo a noi stessi, e va bene così. In tal caso, vi invito onestamente a ripensare al senso profondo del vostro vivere in condominio rispetto all’esigenza di libertà.

Scegliere di non abitare in condominio è un lusso per pochi? Sono pienamente d’accordo. Un lusso per chi ha abbondante risorse sì, ma interiori, per prendere in mano la propria esistenza, le proprie aspirazioni, le proprie profonde esigenze rispetto a come vede la vita, e preferire ciò che è funzionale a ciò che è comodo. Ma non è un lusso relativo alle possibilità economiche, siamo onesti! Esatto, non è una questione economica! Quasi mai lo è! Qualsiasi appartamento in città conficcato in una qualsiasi, financo squallida, palazzina costa di più di una equivalente abitazione in campagna o in collina, non una assai inferiore densità co(n)dominiale! Ma l’esigenza di comodità nel vivere in città per la prossimità al lavoro e alla scuola dei figli, l’essere vicini a farmacie ed ospedali, negozi e centri commerciali, è decisamente preponderante. Chi ha avuto il coraggio di agire in questo senso, anche senza risorse, come è stato per il sottoscritto qualche tempo fa, sa che è possibile, ha esperito come funziona questa inesorabile legge che premia gli ardimentosi, quella irragionevole magia per cui dal momento che ti sposti da ciò che sai non esser giusto e sano per la propria esistenza, trovi tutto ciò di cui hai bisogno, anche oltre a ciò che eri in grado di immaginare. Come diceva Troisi, citando un certo Gaetano amico suo:

Chi parte sa che cosa lascia, ma non sa che cosa trova”.

J.J. Rousseau

Nessun viaggio, nessuna battaglia è affrontabile da soli. Questo possiamo, e dobbiamo, scegliere: i nostri compagni di Viaggio, i nostri alleati nelle Battaglie… questo è il solo e vero co(n)dominio in cui vale la pena condividere il nostro sovrano dominio.

Valentino Infuso